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RINOCERONTE 29

 

 

Qualche giorno prima mi aveva regalato un libro. Era della Strout, “Resta con me”. Che io lo sapevo che voleva dirmi proprio quello che c’era nel titolo. Non voleva farmi addentrare e costringermi in un romanzo, alla ricerca di un qualche valore intrinseco, di una vicenda particolare. Magari un personaggio. No. Lei voleva dirmi esattamente quello che c’era scritto sulla copertina, niente di più. Lo sapeva che io ci mettevo una vita a leggere sempre tutto. Quello era un messaggio urgente, doveva essere recepito subito, con la speranza che non ci fosse una risposta. Se la risposta non c’era voleva dire che tutto rimaneva invariato e la sua paura restava infondata. Entrambi, però, lo sapevamo che oltre a quella data non saremmo potuti andare. Che dal 29 in poi si ricominciava da uno. Uno.

 

 

 

Cinque anni prima c’eravamo conosciuti proprio così, nella libreria sotto casa mia. Lei mi era piaciuta subito. Cosce possenti e un modo di fare impacciato, contrario a qualsiasi forma di femminilità. Le avevo chiesto un appuntamento, così su due piedi. Avevo pensato che con una come lei potevo permettermi di essere spavaldo. Ero sicuro che di occasioni così gliene capitassero poche.

- Cos’hai da offrirmi tu, con la tua aria da bello e dannato, che in confronto mio nonno ti fa una sega. Cresci va!

Non me l’aspettavo una risposta così, non mi aspettavo un linguaggio del genere da una così. Un libro sotto gli occhi, davanti a me, mi fornì la giusta risposta. “Un giorno perfetto” di una certa Mazzucco. Glielo lanciai sopra il plico di libri che reggeva a stento. Lo lesse e sorrise. Poi si girò e se ne andò, lasciandomi lì come un cretino. L’avrei rivista quaranta minuti più tardi, nella caffetteria della stessa libreria. Che io mica ci andavo per i libri in libreria. Quel romanzo, quel giorno, alla fine lo comprai e lei al tavolo alla fine si avvicinò. Mi guardò da dietro i suoi occhialoni da sole.

-Mercoledì alle nove in punto. Resteremo insieme fino alle ventidue. Non avrai un giorno intero, spero che non sia troppo poco per la “perfezione".

 

Poi se ne andò quasi scocciata.

 

 

Posammo gli scatoloni in due file ordinate. A destra tutte le sue cose, a sinistra le mie. La casa piano veniva svuotata, smembrata. Ed a ogni oggetto in meno uno dei due faceva un respiro, come se scattasse un ricordo istantaneo. Fossimo stati in un film saremmo impazziti a furia di flashback. Lei era tanto più magra, aveva perso ventiquattro chili, in quattro mesi. Era la prassi, dicevano Loro. Assumevi i Loro farmaci. Purificavi il corpo per Loro. Poi lo svuotavi dagli eccessi e infine potevi smembrarLo. Lei che era a dieta da quando la conoscevo e non aveva mai perso un chilo.

 

 

 

Quando decise che avremmo vissuto insieme, io non ero d’accordo. Ma avrei impiegato più tempo e fatica ad oppormi inutilmente che a calare la testa e a dire “ma sì, che vuoi che sia”. E invece di essere, fu. Stravolse la mia casa, le mie cose. Si appropriò dei miei oggetti e spazi. Usava le mie lamette, non rimetteva mai al loro posto i cd, beveva sempre dalla bottiglia, anche il latte in cartone. Devastava il mio ordine e riempiva invadente ogni vuoto sistematico che avevo creato per me. Ero diventato d’un tratto claustrofobico e per solidarietà presi un cane maschio: Maciste. Lei ritornò, qualche giorno dopo, con una gattina: Lily. Però, non litigavo mai, stavo zitto. Tanto parlava lei per tutte e due.

 

 

Accompagnandola all’Ufficio Transiti e Consegne, quella mattina del 29, ebbi un mancamento. Ad un certo punto, dovetti fermare la macchina e scendere. Prendere aria. Lei guardava davanti a sé, ferma, nell’auto. Non aveva detto una parola. Una. “Ci volevano gli alieni per farla azzittire a questa.” Tirai un calcio alla ruota davanti, quella dal suo lato. Non batté ciglio. Aprii la sua portiera ed esplosi.

-Che fa, già ti hanno lobotomizzato?- Si girò verso di me, lentissima, quasi a calcolare, centimetro dopo centimetro, lo spazio che ci divideva.

-Io ho paura.

 

 

 

Le cose cambiarono poco prima di cena. Una sera. Avevamo fatto l’amore da poco. Avevamo preso l’abitudine di farlo prima di cena. Era più comodo, non eri appesantito, stanco. Era passato un anno e mezzo da quel giorno in libreria. Io ero sdraiato sul divano, nudo. Lei era andata non so dove. Tornò e me ne accorsi perché il bicchiere d’acqua sul tavolino iniziò a tremare. Un passo e l’acqua s’increspava. Un altro passo e l’acqua s’increspava di più.

-Arriva il rinoceronte - brontolai a Maciste.

-Devo dirti una cosa.

Mi congelai.

-Sei incinta, cazzo!

Sorrise. Lo sapeva che a me alla fine non sarebbe cambiato nulla, se in casa fosse arrivato un altro rinoceronte, già avevo lei e Maciste. Potevo abituarmi.

- No. Io sono tra i 29.

Cominciai a far rimbalzare quel numero tra le pareti molli del cervello come la pallina di un flipper. Poi si bloccò. Bingo. Tutto si era illuminato. Poi buio.

-Non è possibile!

 

 

Con la macchina si poteva arrivare fino ad un punto. Poi dovevi proseguire a piedi. L’aiutai a scendere dall’auto. Era diventata un fantasma. Arrivammo al Tesseramento Alfa. Presentammo i documenti. Scanner oculare. La potevo accompagnare fino al Blocco 28. Poi al numero 29 doveva entrare da sola. Al Blocco 28, entrando, mi afferrò la mano e la strinse più che poteva. Sentivo i suoi ossicini scricchiolare. Incrociammo per strada un altro uomo. Magro, rasato, non riuscivo a dargli un’età. Poteva avere vent’anni, ma anche sessanta.

 

 

 

Passammo gli ultimi quattro anni cercando un modo per annullare la procedura. Parlando con chi era al Comando Nazionale. Poi con quello Internazionale. E poi con la Commissione Mondiale. Abbiamo coinvolto la stampa. Abbiamo cercato di fuggire. Lei ha scritto anche un libro, “Vittima di un giorno”. E’ diventato un bestseller. Il titolo è mio, sono bravo coi titoli. Il giorno della presentazione del romanzo le si avvicinò un bambino. Avrà avuto otto anni, credo. Le chiese cosa voleva dire essere uno dei 29. La madre era vicino a me.

- Vuol dire che sei nato il giorno del mese numero 29. Ogni mese viene scelto un bambino nato il 29, per ogni Nazione del mondo.

-E perché il 29 ?

-Perché è il giorno in cui gli uomini e gli alieni hanno firmato il Patto di non invasione, era il 29 dicembre del 2012.

-E poi che succede al bambino?

-Questo bambino cresce e diventa adulto. Al ventinovesimo compleanno viene portato all’Ufficio Transiti e Consegne. Da lì andrà con gli alieni, con Loro. Loro lo studieranno, perché ogni parte del nostro corpo cura molti della Loro specie. Lui Li aiuterà a sopravvivere.

Il bambino sorrideva, mentre la madre piangeva e rideva insieme. Era devastata. Insonne da otto anni, credo.

- Figo, quindi a ventinove anni vado dagli alieni. Sentito mamma?

Lei mi guardava da lontano. Fissava solo i miei occhi in mezzo a tutta quella gente, con il suo libro tra le mani. Fu lì che capii che io non potevo stare senza di lei.

 

 

Arrivati all’ultimo blocco mi lasciò la mano veloce. Fece due passi in avanti.

- Vattene testa di cazzo! E poi ti ho sempre sentito che mi chiamavi rinoceronte.

Sorridevo, ma in realtà non sorridevo.

-Mi hai mai amato, almeno?

Le presi la mano. Lei si girò. La baciai proprio sul palmo aperto e nel frattempo la guardavo negli occhi. Erano illuminati dal sole debole di quello che doveva essere luglio.

-Certo che no, però ce l’ho messa tutta, credimi.

-Che stronzo!

Cercò di liberarsi.

La tirai verso di me e la strinsi più che potevo. Le nostre ombre da due divennero una. Una.

 

 

 

Non si poteva decidere neanche di morire. Monitorati fin dalla nascita. Costretti a vivere in un mondo che non volevamo più vivere. Ho chiesto se potevano prendere anche me, mi hanno risposto di no, per motivi diplomatici.

Perché un numero è tanto importante? Così sono tornato nella casa nuova, quella che procurano ai parenti dei donatori. Maciste e Lily non mi aspettavano, loro aspettavano solo lei. Poi al Tg ho sentito la notizia: gli alieni, Loro, ci avrebbero invaso domani: la tregua era finita. Ho chiuso gli occhi e ho portato le mani ai capelli.

- ‘Sti stronzi non potevano dirlo ieri...!

M.D.Q.

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