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Con un pallone ovale in mano



Librino è un quartiere popolare di Catania, un quartiere di periferia che conta circa 60.000 abitanti, un luogo che non gode di buona fama, lo dicono anche le canzoni, e dove personalmente non sceglierei di abitare, neanche se costretta.

Librino è una sorta di limbo tra criminalità e povertà. Povertà che non si deve associare per forza e solamente a delinquenza, attenzione. Però, Librino è anche questo e, anche se farà male per molti leggere queste parole, soprattutto per chi a Librino rappresenta il fare positivo, il dire positivo, il vivere positivo, vi invito a farlo fino alla fine.

Non avrei mai parlato di questo quartiere a rischio, probabilmente, se nella mia vita, da qualche anno a questa parte, non avessi conosciuto una persona che a Librino c’è nata, cresciuta e che riesce a vederne ancora il bello.

Il bello nascosto dalle sentinelle che fanno la ronda sotto ai portici dei palazzi o sui motorini; nascosto dalle case occupate, appena i proprietari sono fuori, magari in ospedale, senza che il Comune possa far nulla; nascosto da scuole che si trovano in estrema difficoltà per mancanza di fondi, mancanza di appoggio familiare, mancanza anche, e mi spiace dirlo, di grinta da una parte degli insegnanti, che in quelle scuole dovrebbero porre la voglia di fare, insegnare e raccontare prim’anche della paura. E non scrivo per sentito dire, scrivo perché ho visto con i miei occhi, toccato con le mie mani e ascoltato con le mie orecchie.

E non ho paura di scriverne, perché la paura è nemica di Librino ed io voglio essere sua amica.

A Librino, se la fortuna ti assiste e la fede anche, puoi sperare nell’aiuto della Chiesa. Chiesa non più attiva sul territorio e fra i ragazzi, come lo era un tempo, lo dicono coloro che a Librino abitano da anni. Chiesa anche lei spenta e avvilita da quello che la circonda e dai tempi moderni dove, ognuno tragga in merito le proprie conclusioni, di gente che crede ce n’è sempre di meno ed i valori della Chiesa risultano ormai obsoleti, lontani, a tratti spenti.

E mi domando, in merito a quanto detto sopra, quanta differenza ci sia tra un prete e un insegnante, quando la propria missione viene dimenticata.

Librino non è il quartiere in cui, se hai un minimo di senno e apporto economico, fai crescere i tuoi figli. Se vivi lì, allora, li porti fuori, li fai studiare in una scuola lontana, non li fai uscire per andare chissà dove, al limite sotto il balcone “così ti posso vedere sempre”. Li controlli, e non come fanno i rarissimi genitori odierni. A te non interessa se hanno fatto tutte le pagine di Storia, se hanno guardato troppo la tv o giocato alla play station, no. Controlli che i loro zaini non contengano nulla che un ragazzino non dovrebbe possedere, controlli che non frequentino quel tipo lì, quella ricevitoria dall’altra parte della strada, quella palazzina che ti sta di fronte. E questo solo se puoi, perché se i genitori lavorano, e già questa sarebbe una bella fortuna, il compito di controllare ricade sui nonni, vecchi, stanchi o pieni di nipoti; sui vicini di casa, che per quanto possano controllare, non sono i loro figli; su nessuno se non i ragazzi stessi. E dare a un ragazzino l’ingiusto compito di seguire da solo la retta via e meravigliarsi poi che abbia preferito la strada più veloce e gratificante, non è di certo onesto da parte nostra. Quando si è piccoli la differenza tra il bene e il male la conosci, certo, ma le conseguenze delle tue scelte non le vedi, non le percepisci. Anche da grandi ci viene difficile intravederle, figuratevi quando si è così giovani.

Ci sono delle associazioni culturali che operano sul territorio, non sono molte, non hanno il giusto apporto economico, non hanno la giusta visibilità.

Oggi, però, c’è un’associazione il cui nome è stato su tutti i giornali, un nome che potrebbe risultare ambiguo, ma il suo operato no. Sono i Briganti di Librino, briganti la cui un’unica opera di brigantaggio, che compiono da 11 anni a questa parte, è quella di “rubare” dalle strade i giovani di Librino e portarli a giocare a rugby, ad allenarsi, a leggere nella Librineria, a mangiare e stare insieme con legalità. Sì, con legalità e rispetto. Questi signori insegnano uno stile di vita che si distacca da quello che Librino nella sua enormità insegna ai più, ma non a tutti e questo è il motivo per cui oggi scrivo. Questa gente lo fa attraverso lo sport, la forma più nobile di associazione di persone volte ad un obiettivo comune: la vittoria. E i Briganti hanno vinto tante volte, spesso lottando contro le stesse famiglie dei giovani, a cui insegnavano a correre con un pallone ovale in mano.

Da qualche giorno si parla di loro per una sconfitta, che io giudicherei apparente. Un incendio nella loro Club House, la distruzione di trofei, cimeli, documenti, cucina, Librineria, palestra, etc…Un rogo appiccato volontariamente da chi la “giustezza” di correre su un prato, in pantaloncini, con un pallone in mano, anziché allertare gridando quando una rarissima macchina della polizia passa tra i palazzoni di cemento, non la vede proprio. È questa cecità, che può essere anche chiamata ignoranza, che ha prodotto e produce mostri, proprio come diceva Goya. Questa cecità ha fatto addormentare la ragione, le coscienze e ha fatto scordare che se quell’associazione era lì, era per i figli di Librino, era per coloro che hanno provocato la prima scintilla, era per chi ha comperato l’occorrente per bruciare, era per chi ha ordinato, o proposto, di farlo. Era per loro e non per qualche benestante di Aci Castello o Piazza Europa (anche se non avrebbe dato loro delle attenuanti).

È retorico dire che tutto parte proprio da questo, dalla cultura, dal risvegliare la ragione, la coscienza di chi abita a Librino, di tutti, di chi va in Chiesa, di chi bivacca per le strade, nei bar, nei centri scommessa. È retorico, ma è maledettamente vero.

Andare in questo quartiere, alle porte di Catania, e fare sentire la presenza di tutti, anche chi di Librino non è, proprio come me.

Mi sono chiesta nell’ultimo anno, in cui ho frequentato più assiduamente questa zona, perché nessuno faccia la raccolta differenziata, perché non ci siano cassonetti della differenziata, vigili, campagne porta a porta; e poi mi sono chiesta perché non ci siano posti di blocco, volanti, poliziotti di quartiere insieme ai militari, dato che in via Etnea e Corso Italia li vedo spesso e volentieri. Eppure, Librino possiede un commissariato, ma le volanti in giro per le strade non ti capita spesso di vederle.

Perché non si cerca di aprire delle gallerie commerciali, dei pub all’ultima moda, dei centri di ritrovo tutelati e vigilati, che portino a Librino gente da fuori; sì, avete capito bene: gente da fuori.

Perché nessuno di quelli che possiedono associazioni a Librino si fa sentire, e preferisce operare silenzioso, con quei pochi miracolati che ne fanno parte. Perché la popolazione, che Librino la ama sul serio, non decide di urlare a squarciagola che lì tutto fa schifo e che è ora di cambiare le cose, gridare proprio come fanno le sentinelle, gridare nelle loro facce di ragazzi bruciati: qui tutto fa schifo, cazzo, ma ora mi sono scocciato.

Ed è nell’evento dell’incendio ai Briganti che ho trovato sia la risposta che la soluzione.

Soluzione e anche vittoria (di cui parlavo sopra), perché finalmente si parla dei Briganti, su tutti i telegiornali e giornali, perché finalmente anche i quotidiani locali si sono ricordati che esiste Librino, ma soprattutto una parte di Librino che lotta per i giovani e con i giovani. Vittoria perché è dalle ceneri che nascono i fiori più belli e grandi, e su questo, coloro che hanno appiccato il fuoco, avrebbero dovuto riflettere.


C’è una scuola a Librino che la notte resta sempre, interamente, con le luci accese. All’inizio ho pensato che fosse un disguido di un giorno, invece no. È accesa sempre, come se al suo interno ci fosse una festa di fine anno perenne, anche durante l’estate. Si trova in Viale Bummacaro ed è l’Istituto Comprensivo Statale Campanella-Sturzo, un plesso enorme che non so quanto paghi di luce, ma ho il sospetto che potrebbe impiegare parte di quella somma per corsi pomeridiani, post-scuola e attività gratuite per quei ragazzi delle case lì vicino che cadono a pezzi. A Librino ci sono degli spazi di vegetazione enormi, perché non bonificarli, darli in mano alle scuole, ai ragazzi, ai plessi stessi; fare gestire agli abitanti del palazzo il verde che hanno di fronte, fornendo loro, se necessario, operai e mezzi, ma obbligandoli a lavorarci. Perché se in una cosa c’hai lavorato e ti sei spaccato il culo tu, poi non la incendi perché vuoi vedere quanto sono alte le fiamme.

Chi abita a Librino dice che lo Stato non c’è, che non puoi obbligare i professori a parlare di determinati argomenti, quali Falcone e Borsellino, mafia, pizzo, perché tanto dopo quelle sei ore di scuola tornano a casa e Falcone diventa un povero scemo che giocava a fare superman. E allora io dico lo Stato non c’è, creiamolo noi, raccogliamoci in comitati, associazioni di quartiere e andiamo a bussare allo Stato e magari la prima volta non ci apre e la seconda neanche, ma la terza ci deve aprire per forza. Molti non conoscono neanche le procedure per istituire comitati di quartiere o associazioni, allora chi sa ha il compito di istruire, il dovere.

Perché non iniziamo dalle piccole cose, anzi piccolissime: ad esempio, a Librino le rotonde per lo più non si impiegano, si preferisce più comodamente approfittare degli svincoli per i pedoni, e risparmiare circa 10 secondi netti. Direte, ma questo è niente. No, non è niente, è semplicemente poco, pochissimo, ma perché non iniziamo così? Perché non iniziamo dall’educare noi stessi e i figli, che portiamo in macchina con noi, che il codice della strada si rispetta sempre, in qualunque occasione e in qualsiasi luogo.

Martedì 16 gennaio c’è stato Mattarella a Librino, e scommetto che le istituzioni catanesi sono state talmente brave a far vedere quante belle cose si fanno e sono in progetto per il quartiere, e questo mi fa arrabbiare, perché a Mattarella avremmo dovuto far vedere quello che non va bene, quello che ancora non funziona per niente, quello che fa schifo a Librino (così come nel resto di Catania, d’altronde). Non per farci dire che qui al sud non riusciamo a gestire realtà di periferia, così difficili (ditemi dove ci riescono), ma per farci fornire un aiuto, un sostegno, e se queste due cose non si possono avere, un po’ di visibilità e protesta, ci può sempre servire. In questi anni, ho capito che smuovere i media spesso fornisce possibilità che altrimenti non si avrebbero.

I Briganti non sono che un piccolo retroscena dell’enormità di soprusi che avvengono in quel quartiere. E Librino non è il solo quartiere che è in difficoltà, ce ne sono molti altri, anche messi peggio e sparsi per la città di Catania. Queste cose sono tutte vere e giuste, ma non devono costituire un’attenuante.

C’è bisogno di dire di no, di andare nelle scuole e dire “ora basta”, e dire ai bambini e ai ragazzi cosa sono mafia e delinquenza, ma anche ignoranza e indifferenza, cosa fanno queste cose e come si riconoscono; poi dopo, a casa con i parenti, nelle associazioni culturali e sportive, nella Chiesa (per chi va, e negli altri luoghi di culto) si deve dare un’alternativa.

La cosa più importante per Librino non è l’istituzione del “muro della Bellezza” o della visita del Presidente della Repubblica; non è la costruzione di un ospedale all’ultima moda, che ha tutte le carte in regola per diventare come il Vittorio Emanuele, a partire dal chiosco irregolare che vi avevano piazzato davanti, ancor prima del taglio del nastro rosso.

La denuncia è una delle cose che serve a Librino. Avere il coraggio, i mezzi e la conoscenza per denunciare.

Ecco, vi chiederete cosa parli tu, tu hai mai denunciato?

Sì l’ho fatto, e ne vado fiera. A Catania, che è la mia città, e anche in altre città, perché tutte sono la mia città. La mia famiglia ed io abbiamo denunciato non perché siamo super coraggiosi oppure incoscienti, abbiamo denunciato perché non ignoriamo l’importanza della denuncia, e non la ignoriamo perché abbiamo avuto i mezzi per riconoscerla, grazie a chi ci ha educato nelle scuole, nella famiglia, nell’ambiente circostante e ci ha trasmesso questa verità assoluta. La cultura, che non è specificatamente conoscere la storia o il teorema di Pitagora, ma è anche quello. Non è una lotta di classe sociale, non c’entra niente l’essere ricco o povero. C’entra il saper trasmettere delle informazioni e dei valori utili, giusti, unici. È l’unico modo per comprendere l’importanza della denuncia, dell’alternativa, delle associazioni culturali, sportive, delle marce con i lumini accesi, dei progetti scolastici sulla legalità, sull’ambiente, sul bullismo, delle proteste contro la mafia, l’importanza delle morti per mafia e del provare a farcela mantenendo la propria legalità, che non è una parolaccia ve l’assicuro. Legalità.

Sotto casa mia sono capitate mille volte cose strane e poco legali e vi assicuro che abito ben lontano da Librino. Eppure abbiamo avuto di tutto, furti d’auto, dove in diretta siamo intervenuti, macchine abbandonate, officine non autorizzate che aprivano senza problemi, cani rinchiusi nei garage, senza poter vedere mai, e dico mai, la luce del sole, violenze domestiche…Ebbene, vi sembrerà incredibile, ma abbiamo sempre denunciato, oppure siamo sempre intervenuti. Ho denunciato furti in metro a Roma, anche mentre avvenivano, ho fermato e denunciato un pestaggio a Torino. Certo che avevo paura, ma andavo avanti, perché lo sapevo che era la cosa giusta, perché io ci tengo davvero ad essere un bravo cittadino e, se lo trovate divertente, fatevi un esame di coscienza.

Quando si può fare la scelta giusta?

Quando, oltre alla conoscenza, hai avuto qualcosa che gli abitanti di Librino ancora non riescono ad avere a portata di mano, una cosa importantissima: l’alternativa.

Un’alternativa, questo è quello di cui si ha bisogno e I Briganti sono un’alternativa. Per questo vincono sempre, alla faccia di qualsiasi incendio. La Chiesa (quando fa il suo dovere!) lo è e quelle piccole associazioni (piccole, troppo piccole, lo ribadisco), lo sono.

ALTERNATIVA, vorrei improvvisarmi linguista e trovarne un’etimologia: dal latino alter, che vuole dire altro, e nativus, che è un aggettivo e vuol dire origine, nascita, principio. Alternativa, dunque, come altro dall’origine, altro dalla nascita.

Diamo qualcosa che sia altro rispetto all’origine, rispetto alla nascita, rispetto al luogo, un “altro” positivo, un “altro” migliore. E forse, le nuove generazioni di Librino, anziché pensare a fare la ronda, o a giocare col fuoco, o a costruire chioschi abusivi, penseranno a correre con un pallone ovale in mano, a servire pasti alla Caritas, o più semplicemente andranno a scuola, studieranno, penseranno ad imparare una professione, magari artigianale (dato che sono in via d’estinzione), faranno sport, attività educativo-ricreative e non penseranno a tredici anni d’esser pronti per diventare genitori.

Un ultimo allarmante punto di riflessione mi giunge dalla lettura di un incontro organizzato con il dirigente del commissariato di Librino, Tito Cicero, l’anno scorso. Il dirigente afferma che all’interno del quartiere non avvengono furti, borseggi o pestaggi, anzi i numeri relativi a questi reati sono inferiori rispetto a quasi tutti gli altri quartieri del catanese. “Ovviamente”, afferma Cicero, “i delinquenti non agiscono a Librino.” Cicero, poi, fornisce dati che danno supporto a quanto ho detto finora: la maggior parte degli esponenti di spicco della criminalità organizzata risiede a Librino, c’è un elevatissimo numero di persone agli arresti domiciliari, si evidenziano un degrado e una povertà diffusa, ma la piaga più grande rimane la droga e la detenzione di armi, e su quest’ultimo dato non dirò nulla, perché tante persone, decisamente più autorevoli di me, hanno detto e dicono tutti i giorni. Un ultimo dato mi ha, però, terribilmente scioccato: nel 2016 sono state solo quattro, ripeto solo quattro, le chiamate per violenza o abuso domestico pervenute alla polizia di Librino. In un quartiere con circa 60.000 abitanti è impensabile che i casi relativi a questi reati siano solo quattro. In pratica, solo quattro persone hanno denunciato un abuso, o una violenza in famiglia. Ecco, mi viene in mente quanti non l’hanno riconosciuta o hanno creduto che nessuno potesse farci nulla: conoscenza. Quanti hanno pensato che dopo avrebbero potuto continuare la loro vita, o quanti sapevano che esisteva una possibilità diversa da quella che vivevano: conoscenza più alternativa. Quanti hanno avuto il coraggio, i mezzi, il tempo per dirlo a chi di dovere: conoscenza, più alternativa, più denuncia.


Io oggi non ho generalizzato, anche se magari a chi vorrà criticarmi sembrerà il contrario.

Librino è già ricca di persone che fanno la differenza e rappresentano un’alternativa, proprio come i Briganti.

Ora tocca a tutti: costruiamo alternative, cultura, denuncia e non solo ospedali o centri commerciali.

Catania, e non solo Librino, non ha bisogno delle belle parole e delle opere architettoniche fantascientifiche (vedi il progetto di Corso Martiri della Libertà). E non perché non siamo in grado di realizzarlo, ma perché ancora il nostro mondo ha bisogno delle strutture, che possono reggere questo futuro. Le strutture, di cui parlo, sono gli abitanti stessi di Catania, la rete che si crea tra essi, le relazioni commerciali, familiari, le istituzioni, l’integrazione multi-etnica, le scuole, la burocrazia, il denaro, quello pulito. Ed io, ahimè, per il momento non le vedo da nessuna parte queste strutture, né a Librino, né a Corso Martiri della Libertà, né sul Lungomare di Acitrezza.

Doniamoci cultura, alternativa e denuncia e da lì ripartiamo. Insieme, con un pallone ovale in mano, correndo come pazzi su un prato, tra palazzoni di cemento che puntano verso il cielo.



Chi vuol contribuire a ricostruire la Club House dei briganti, può inviare un contributo alle seguenti coordinate C/C intestato a: A.S.D. I Briganti || Iban: IT 03T 03127 26201 000000190243 - BIC: BAECIT21263 - Unipol Banca.

PAGINA FB: @BrigantiLibrino

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