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Ciao mamma, ciao


Oggi mi sono svegliata con questa canzone “Ciao Mamma ciao”.


All’inizio ho dato poca importanza alla cosa. Tutti noi abbiamo iniziato, almeno una volta, la giornata con una canzone in testa, senza un motivo.

Poi accendo la tv e ascolto ciò che accaduto nel mediterraneo stanotte. Settecento morti, settecento anime inghiottite dall’acqua nera.

Anni fa, quando avevo più tempo per me, guardavo il mare cercando di scrutarne la fine. Guardavo il limite dell’orizzonte e pensavo che non ci dovesse essere tanto di più di quel che vedevo.

Ma non è proprio così.

Dietro quella linea c’era altra vita, c’era un’altra terra, c’erano altri uomini come me.

Non è che non sapessi che andando avanti avrei scrutato altre coste, però non le vedevo e quando si è piccoli ciò che non si vede non è molto importante. Quando si è piccoli si punta sull’immaginazione, sul potere che ha la mente di creare la realtà, la tua realtà. All’epoca immaginavo che ci fosse uno specchio gigante che riflettesse esattamente la nostra vita, le nostre barche, le nostre case, me, seduta sul molo di Acitrezza, mentre aspetto che i grandi finiscano di bere il caffè al bar.


Sono cresciuta e ho imparato che oltre quella che sembra una fine c’è una terra, non troppo diversa dalla mia, arsa dal sole come la mia, del colore del fango e del verde acido come la mia, dove le piante grasse e i limoni la fanno da padroni. Un posto dove le persone hanno la pelle bruciata e i capelli salati. Dove ci sono bambini, come lo ero io, che guardano quest’enorme distesa di mare che ci separa e sognano i loro mondi, le loro realtà. Non credo che ci siano tanti bambini che immaginano specchi grandissimi riflettenti come facevo io; sono fortemente convinta che ci siano fantasie con terre meravigliose, dove la vegetazione è più rigogliosa, i genitori vanno tutti a lavorare la mattina e i bambini vanno a scuola.

Da ormai tre anni scrivo una storia che parla di una bambina che si approccia alla vita degli adulti e capisce che in questa terra nessuno è senza peccato, nessuno è completamente responsabile di ciò che accade e tutti siamo in balìa degli eventi. Per Titì, questo è il suo nome, il mondo è il piccolo paesino in cui vive ed il mare è così lontano che per lei non rappresenta elemento di riflessione. Oggi, però, quando mi sono svegliata e ho canticchiato quella canzone e poi ho acceso la tv, mentre continuavo a canticchiare ciao mamma ciao e guardavo le immagini e leggevo i titoli, mi è venuta in mente lei. Ho pensato a cosa avrebbe fatto lei se oggi si fosse trovata davanti il mare, seduta su uno scoglio, avesse provato ad immaginare cosa c’era al di là.

“ C’è una terra dove il sole non va mai a dormire, dove i grandi vanno a lavorare solo per due ore al giorno, poi tornano a casa e passano il tempo a giocare con i loro figli. Un posto dove i bambini vanno in scuole dove le insegnanti fanno fare lezioni divertenti, dove non ci sono sedie ma solo cuscini e giocattoli. In questa terra si va a dormire solo quando si è stanchi per davvero e i cani possono salire sui letti e nessuno, nessuno va in giro con la macchina. Si usano solo biciclette e monopattini. Un posto dove non si paga con i soldi, ma con i favori. Un posto dove nessuno piange, se non di gioia e dove la fame, la malattia e l’esclusione non esistono e se si dovessero verificare casi del genere, subito ci sarebbero cure adeguate. Dove ognuno cerca di aiutare gli altri, dove la televisione trasmette più cartoni animati e meno telegiornali; dove i bambini possono entrare in Parlamento e vengono davvero ascoltati, dove ci sono case costruite senza rovinare l’ambiente. Dove la spazzatura viene riciclata tutta e quindi non esiste più nessuna discarica, dove tutti sanno quale è il proprio posto nella società e per chi non lo sa, ci sono persone che ti aiutano a scoprirlo e per chi non lo vuole sapere, perché ama vivere per strada, c’è la libertà. Una terra dove si muore solo quando si è vecchi, ma ogni anno, dopo la tua morte, vieni ricordato da un gruppo di persone che ti è stato vicino. Dove ogni cosa ha un senso, vale di più, è più logica e stranamente ha un sottofondo musicale. Una terra dove tutto è pieno di musica e colori.”

Titì immaginerebbe una terra così, al di là di questo mare e penserebbe che per una terra così valga la pena mettersi sulla prima imbarcazione che passa e via, farsi trasportare dalle onde.

Chi si mette sui gommoni, chi sceglie questa via non immagina una terra come quella di Titì. Forse qualche bambino sì, ma i grandi che salgono con loro lo sanno che sarà una terra difficile, con una società che li respingerà e con un’opinione pubblica che per lo più li vedrà come invasori. Ma sapranno che, nonostante tutto, la terra che c’è al di là di quel mare è una terra dove si vive, dove c’è la disoccupazione ma un lavoro si trova comunque, una terra dove puoi fare crescere i tuoi figli liberi. Clandestini non si è per scelta, neppure quando il viaggio di arrivo è quello tragico e rischioso del mare (solo il 12% dei migranti irregolarmente soggiornanti entra in Italia attraversando il mediterraneo). Eppure quando si avvista un barcone si dice che è carico di clandestini, senza contare che oltre il 90% degli esodanti del mare (è l’UNHCR a dirlo) è un legittimo beneficiario di protezione internazionale, un profugo o un perseguitato in fuga. E’ un uomo che ci crede veramente nel viaggio che sta facendo, e di fatto è qualcuno che ha molto più coraggio di tutti noi.

La canzone di Luca Barbarossa mi è ritornata in mente più volte, mentre ascoltavo l’ennesimo teatrino politicante in cui si parlava di aiutarli qui, portarli lì, sparare ai gommoni, creare centri di accoglienza sulle coste libiche. Ancora ciao mamma ciao, mentre leggo una mail del mio fidanzato che mi scriveva che era andato a dormire alle sei del mattino, che non riusciva a dormire e che il mare sembrava un cimitero pieno di corpicini che galleggiavano.

Ciao mamma ciao…

Non so perché proprio oggi mi sia rimbombata questa canzone in testa, ma dopo aver immaginato Titì sopra quel barcone, verso quella terra meravigliosa, che aveva sognato da sempre. Dopo aver visto una donna con lei, stipate una appiccicata all'altra, che le accarezzava i capelli e cantava quella canzone nella notte nera. Dopo aver setnito la paura di tutti e quella donna che continuava a cantare. Dopo averli immaginati tutti così sicuri delle loro scelte, in quel momento preciso, nell'attimo prima che tutto finisse, cullati dalla sua voce.

Dopo aver immaginato quel rumore e quel fredo, la confusione, le grida e quell'angoscia che immobilizza gli arti e fa scoppiare il cuore. Dopo aver scorto il corpo di Titì, accanto a quello della donna, a galla con la faccia rivolta verso l’abisso, spenta, vuota, abbandonata dai suoi sogni, ho smesso di canticchiare anch'io.

La canzone ha smesso di rimbalzare tra le pareti molli del mio cervello.

Silenzio.


Poi ho acceso la radio nella mia stanza, sapevo che Titì non era mai salita su quel barcone, che lei il mare non sa neanche com'è fatto. Sapevo che era stata solo la mia fantasia.

Ho acceso la radio, in un attimo dal silenzio la sua voce.

Ho avuto paura, poi ho deciso di scrivere.


Ciao.

Mamma.

Ciao.


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