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LA CASA GIALLA

Ovvero la speranza di un flashforward...

 

 

 

Ho un ricordo inesistente che gira nella mia testa. In realtà, non è mai avvenuto e per questo forse non può essere chiamato ricordo, ma a volte ci sono cose per cui non esistono le parole giuste.

 

C’è una casa proprio sulla scogliera di Catania, precisamente al porto di Ognina. La casa è grande, una villa a tre piani con una mansarda. E’ gialla col tetto spiovente grigio topo. Quella casa si allunga verso il mare più delle altre; sembra che si stia per tuffare senza paura. Le onde sbattono sugli scogli neri, che si alzano davanti al porticato della casa gialla come per proteggerla.

 

 

 

Deve essere stata disegnata da un architetto innamorato, un architetto che amava e non aveva paura.

 

La casa gialla è alta, più delle altre ville che stanno ai lati, e, nonostante non sia sola, sembra ergersi come un monumento solitario e imponente tra piccole case distratte.

 

E’ la prima che si vede percorrendo il lungo mare, ed è l’ultima che ci si lascia alle spalle.

 

La casa gialla è la prima che vede il sole la mattina e l’ultima che lo saluta la sera.

 

Nella punta più alta della casa, dove il tetto si piega in un angolo di novanta gradi, c’è una finestra. La finestra è grande e rettangolare, i suoi infissi sono in legno, formano un disegno che ricorda le finestre dei santuari di campagna, dedicati a Madonne di carità. I vetri sono specchi che riflettono la luce arancione. Non ci sono tende però e il sole entra indisturbato; il sole è forte e caldo, nonostante sia tardo pomeriggio.

 

Sembra che io non ci sia più abituata.

 

Il sole crea le sue ombre a piacimento, sul muro alle mie spalle. Ricordo come le bottiglie diventino subito pesci che nuotano, i pennelli nella brocca sembrino giraffe dal collo infinito. Il sole riscalda la poltrona rossa, la piccola scrivania all’angolo, l’abat-jour argentata che mi ha regalato Elisa decenni fa e il quadro di un’amica fidata che rappresenta un’amica amata.

 

La luce filtrando rende visibile atomi di polvere, che volano in uno spazio più luminoso del normale. Sono seduta sul parquet davanti alla finestra. Sento il calore salire dal bacino, lungo la schiena fino alle spalle. Gambe incrociate e piedi nudi, come le braccia. Il sole mi bagna la pelle, pizzica, lo sento entrare in me da pori invisibili.

 

No non ci sono più abituata, mi sconvolge.

 

Ho chiuso gli occhi da qualche minuto e le mie mani aperte avvolgono le ginocchia, come le foglie di limone con il loro frutto.

 

Ora apro gli occhi, tutto è più luminoso e ovattato, provo fastidio ma li tengo aperti. Le cose mi appaiono vere e inconsistenti, come un sogno che fai la mattina presto, quando già il primo sole è alto e senti in lontananza le voci della realtà. Inconsistenti come l’acqua che ti circonda, quando affondi. Quando ogni rumore è sordo e ogni cosa che vedi è senza contorni. Inconsistenti come il silenzio che c’è durante l’omelia del prete, dove i pensieri della gente si disperdono tra l’incenso e le candele.

 

Guardo il computer che ho di fronte: c’è il foglio bianco di word che pulsa come un cuore. Solo una frase nera si ferma nel bianco.

 

C’è scritto:

 

“C’è una casa gialla proprio sulla scogliera di Catania. La casa è grande, una villa a tre piani con una mansarda. Cinque anni fa, un pomeriggio a Torino, ho immaginato di essere seduta lì, in quella mansarda. Nel momento preciso in cui il sole viene chiamato tramonto.”

M.D.Q.

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